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Audio Writers' Room #1
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Audio Writers' Room #1

Della scrittura e dei malintesi

In una Writers’ Room, prima di scrivere, ci si confronta. Si ride. Si sparano cazzate, si confrontano ipotesi e possibilità. È la stanza dei giochi dei creativi. Che le storie siano fatte soprattutto di immagini in movimento è il primo malinteso. Prima di tutto sono fatte di parole.

Graphic recording di Giorgia Molinari
Graphic recording di Giorgia Molinari

Ascoltare la mia introduzione non è la stessa cosa che partecipare, ma spero aiuti. Dopo averla ascoltata, prova a esercitarti, come abbiamo fatto insieme.

Il prompt del primo incontro

Quali sono i malintesi, i falsi miti, le convinzioni errate che allontano i tuoi clienti potenziali? Che forma prendono? Sono alibi? Bias? Anacronismi, nel senso di idee che erano vere un tempo e non lo sono più? Errori veri e propri? Pregiudizi? Pettegolezzi? Prova a pensare a tutti i malintesi possibili che impediscono alle persone di prendere in considerazione quello che proponi. Poi vedremo insieme cosa farne (ma sono sicura che qualche idea ti verrà spontanea).

Trascrizione romanzata

Questo è ufficialmente il primo incontro di Story Hacking. L'ho chiamato Writers’ Room per ricordare e sottolineare che, anche quando parliamo di storytelling, al centro di tutto c'è sempre la scrittura.

La "Writers’ Room" è la stanza degli sceneggiatori, che quasi sempre lavorano in gruppo e non da soli. Questa è un’idea un po' strana per chi scrive per lavoro, perché solitamente la scrittura è un'attività individuale, personale. Se avete visto Boris, sapete che cos'è una Writers Room e avete presente qual è l'interazione tra sceneggiatori che devono dare vita a storie.

Uno dei primi presupposti di Story Hacking è proprio questo: uscire dall'idea un po' asfittica dell'autore o del creativo come genio solitario che ha delle idee tutte sue e le porta avanti da solo. Vogliamo riportare alla nostra attenzione il fatto che la scrittura, la comunicazione, la sceneggiatura, sono lavori di gruppo, lavori di più persone che portano ciascuna il proprio contributo. Siamo qui, quindi, per condividere spunti e informazioni, perché dal confronto con gli altri si impara tantissimo.

L’idea è di hackerare non solo lo storytelling inteso come viaggio eroico, il percorso da seguire per strutturare una storia, ma anche il modo di pensarlo, progettarlo e realizzarlo. Oggi vorrei lavorare con voi sul concetto di prompt, cioè un'indicazione che diamo all'intelligenza artificiale per farla lavorare per noi, e vorrei farlo partendo dal concetto di "malinteso".

Il malinteso è uno spunto che ho condiviso nel primo numero della newsletter che dà vita a Story Hacking, ed è qualcosa che ho trovato in un libro molto bello che vi consiglio: "Story or Die" di Lisa Cron. In italiano è stato tradotto malissimo, tipo "Racconto o sei morto"—una cosa davvero aberrante. Se vi piace leggere in inglese, leggetelo nella versione originale, perché Lisa Cron è anche molto brava a scrivere, quindi vale la pena andare alla fonte.

Nella versione originale, Cron non chiama questo concetto precisamente "malinteso", ma "misbelief", cioè falsa credenza, falso mito. L'ho trovato molto stimolante perché molto spesso, quando dobbiamo immaginare una storia basata su un customer journey, quindi una storia di marketing e non di intrattenimento, fatichiamo un po' a immaginare la "call to adventure"—perché qualcuno dovrebbe darci retta? Prima ancora di perché qualcuno dovrebbe comprare il prodotto o servizio che offriamo, il primo compito di uno sceneggiatore di una storia di marketing, di una storia di brand, è chiedersi: perché qualcuno dovrebbe concederci la sua attenzione? Il suo tempo?

L'idea del malinteso è molto stimolante perché spesso, di fronte a nuovi prodotti, nuove offerte, o esperienze, le persone hanno un rifiuto. Per chi conosce il viaggio eroico il rifiuto della chiamata è un momento tipico di una storia. E spesso questo rifiuto è basato su una scarsa conoscenza, o peggio ancora, su una falsa credenza, su un falso mito.

Per fare un esempio, chi deve usare i social media per lavoro o per sé spesso ha una serie di falsi miti. Uno dei più frequenti, che mi sono sentita dire moltissime volte in situazioni di formazione, consulenza, o anche solo chiacchierando con amici, è: "Ma io e i social non andiamo d'accordo perché sono asociale." Questo è un classico falso mito, l'idea che per usare con gioia i social media sia necessario essere "social".

In realtà, è esattamente il contrario. I social media sono l'ambiente ideale per le persone riservate, introverse, timide, che nelle situazioni di gruppo fanno fatica a inserirsi, a trovare spazio per parlare—persone come me, per esempio. Parlo per esperienza personale: da trent'anni uso con grande felicità i social media proprio perché sono uno spazio di espressione per chi non ha voglia di sgomitare per avere l'attenzione degli altri, per chi preferisce esprimersi attraverso la scrittura, l'immagine, il racconto, piuttosto che attraverso l'interazione diretta.

Questo è un classico esempio di malinteso, un falso mito. Qui arriviamo al punto delle storie, intese come le intende Lisa Cron, che ci ricorda una verità amara. Se una persona ha un falso mito e noi cerchiamo di spiegarglielo, non succede assolutamente nulla. Anzi, spesso si arriva rapidamente a muro contro muro. Il rifiuto della chiamata non si vince convincendo qualcuno con delle ragioni, anche se sono solide e motivate.

Torniamo a Boris e alla frase "Non lo famo, lo dimo". Questo è un trucco usato quando non si hanno abbastanza soldi per girare una scena complessa e costosa, quindi si preferisce spiegarla a parole invece che mostrarla. Nel nostro lavoro di comunicazione, spesso i nostri clienti pensano che sia sufficiente "dirlo bene", che basta spiegare bene qualcosa e allora il pubblico capirà. Ma non è così. Per spiegare bene qualcosa, devi avere prima l'attenzione dell'altra persona. E le storie servono proprio a questo: a catturare e mantenere l'attenzione di qualcuno che non ha voglia di cambiare idea.

Nel primo numero della newsletter facevo l'esempio dello sport. Molte persone credono di non voler fare sport perché sono rimaste legate al ricordo della ginnastica del liceo—un'esperienza sgradevole, scomoda, faticosa. Sono convinte di "non essere fatte per lo sport". Il nostro lavoro, allora, è lavorare su questi malintesi, su ciò che impedisce alle persone di prendere in considerazione ciò che proponiamo. Vi invito a riflettere su quali siano i malintesi che potrebbero rendere poco interessante il vostro prodotto o servizio.

Un altro esempio è il proverbio "Le cose buone o fanno male o fanno ingrassare". Quante volte lo abbiamo sentito? Quante volte abbiamo pensato che se qualcosa è sano non può essere buono? Eppure ci sono tantissime cose sane, gustose, che non fanno ingrassare. Pensiamo al pesce crudo: è sano, è buono, e non fa ingrassare. Un altro luogo comune da smentire.

Vorrei fermarmi qui oggi, rimanendo fedeli allo spirito dell'hacking, che vuol dire letteralmente colpo d'ascia. Qual è la cosa da distruggere perché qualcuno possa essere interessato a quello che voi avete da dire? Vi invito a riflettere su quali siano i malintesi da abbattere per fare spazio a nuove possibilità.

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