- Convinzione errata 1: esistono metodi perfetti e infallibili per gestire i progetti software
- Convinzione errata 2: che gli approcci agili (Scrum, Kanban, ecc.) siano quei metodi perfetti e infallibili
- Pregiudizio 1: i consulenti che si occupano di Agile sono dei fanatici religiosi, solo lì per dirci che stiamo sbagliano e come fare il nostro lavoro
- Pregiudizio 2: i consulenti che si occupano di Agile fanno solo chiacchiere, tante domande senza offrire soluzioni, non aiutano a risolvere problemi
Queste convinzioni errate e pregiudizi suscitano nel potenziale cliente principalmente due sentimenti: astio e/o apatia.
L’astio porta a non rivolgersi proprio mai a professionisti come me (“sono tutti uguali”), soprattutto nelle organizzazioni più piccole.
Oppure, in organizzazioni più grandi, questo astio diventa qualcosa che compromette di continuo lo sviluppo di una relazione di fiducia.
L’apatia la vedo molto più spesso nelle grandi organizzazioni, che hanno subito diverse ondate, cicli di consulenze sul tema, e non mancano di fare notare che non è cambiato nulla (e quindi continuerà a non cambiare nulla nemmeno stavolta).
Se devo pensare in termini di narrativa, personalmente mi concentrerei sulle convinzioni errate.
Purtroppo sradicare pregiudizi è molto dispendioso, e, a mio modo di vedere, il “tasso di conversione” rischia di essere molto basso.
Già tentare di dissolvere il pensiero magico che sta alla base delle convinzioni errate 1 e 2 è un lavoro a tempo pieno.
Il passaggio dello story hacking è proprio che tu non devi sradicare i pregiudizi, li analizzi per conoscerli, per evitare di confermarli, per usarli come trampolino.
Per esempio un modo per lavorare sulla convinzione errata 1 molto diffuso è usare sketch lo-fi, schizzati a matita, anche nella comunicazione. Se usi un flowchart o un modello tutto preciso e pettinato invece lo confermi.
Verissimo, eppure una parte consistente della comunicazione consulenziale, soprattutto se sei o vuoi posizionarti come come individuo, gira proprio attorno all'avere un tuo metodo, magari con tanto di ™, pronto all'uso, da "installare".
Io ho la tendenza a fare disegni o prendere appunti mentre mi parlano, però mi è capitato anche di osservazioni dirette o indirette del tipo "una slide potevi/poteva prepararla...", anche questo (il consulente che DEVE avere SEMPRE la slide tutta bella pettinata, altrimenti non è credibile) è un bel bias bello grosso di cui tenere conto.
Eh, ma soprattutto se vuoi posizionarti come individuo devi cercare un cliente compatibile con il tuo modo di lavorare. Io lo faccio ormai da un bel po', funziona e lo trovo proprio con la comunicazione, sapendo che 99 persone su 100 mi scarteranno proprio perché non sono pettinata. Ma se sono un freelance un cliente su 100 è tutto quello che mi serve, sono comunque migliaia di potenziali clienti.
Molto utile questo esercizio.
Nel mio campo:
- Convinzione errata 1: esistono metodi perfetti e infallibili per gestire i progetti software
- Convinzione errata 2: che gli approcci agili (Scrum, Kanban, ecc.) siano quei metodi perfetti e infallibili
- Pregiudizio 1: i consulenti che si occupano di Agile sono dei fanatici religiosi, solo lì per dirci che stiamo sbagliano e come fare il nostro lavoro
- Pregiudizio 2: i consulenti che si occupano di Agile fanno solo chiacchiere, tante domande senza offrire soluzioni, non aiutano a risolvere problemi
Queste convinzioni errate e pregiudizi suscitano nel potenziale cliente principalmente due sentimenti: astio e/o apatia.
L’astio porta a non rivolgersi proprio mai a professionisti come me (“sono tutti uguali”), soprattutto nelle organizzazioni più piccole.
Oppure, in organizzazioni più grandi, questo astio diventa qualcosa che compromette di continuo lo sviluppo di una relazione di fiducia.
L’apatia la vedo molto più spesso nelle grandi organizzazioni, che hanno subito diverse ondate, cicli di consulenze sul tema, e non mancano di fare notare che non è cambiato nulla (e quindi continuerà a non cambiare nulla nemmeno stavolta).
Se devo pensare in termini di narrativa, personalmente mi concentrerei sulle convinzioni errate.
Purtroppo sradicare pregiudizi è molto dispendioso, e, a mio modo di vedere, il “tasso di conversione” rischia di essere molto basso.
Già tentare di dissolvere il pensiero magico che sta alla base delle convinzioni errate 1 e 2 è un lavoro a tempo pieno.
Grazie per averlo fatto!
Il passaggio dello story hacking è proprio che tu non devi sradicare i pregiudizi, li analizzi per conoscerli, per evitare di confermarli, per usarli come trampolino.
Per esempio un modo per lavorare sulla convinzione errata 1 molto diffuso è usare sketch lo-fi, schizzati a matita, anche nella comunicazione. Se usi un flowchart o un modello tutto preciso e pettinato invece lo confermi.
Verissimo, eppure una parte consistente della comunicazione consulenziale, soprattutto se sei o vuoi posizionarti come come individuo, gira proprio attorno all'avere un tuo metodo, magari con tanto di ™, pronto all'uso, da "installare".
Io ho la tendenza a fare disegni o prendere appunti mentre mi parlano, però mi è capitato anche di osservazioni dirette o indirette del tipo "una slide potevi/poteva prepararla...", anche questo (il consulente che DEVE avere SEMPRE la slide tutta bella pettinata, altrimenti non è credibile) è un bel bias bello grosso di cui tenere conto.
Eh, ma soprattutto se vuoi posizionarti come individuo devi cercare un cliente compatibile con il tuo modo di lavorare. Io lo faccio ormai da un bel po', funziona e lo trovo proprio con la comunicazione, sapendo che 99 persone su 100 mi scarteranno proprio perché non sono pettinata. Ma se sono un freelance un cliente su 100 è tutto quello che mi serve, sono comunque migliaia di potenziali clienti.
Grazie a Giorgia Molinari per il graphic recording. Molto utile!
Grazie Simona, mi fa piacere!